Utopie d'un fabricant d'images baroques qui consigne notre présent et le confronte à des avenirs incertains

miércoles, 5 de septiembre de 2012

ORATOIRE POUR LES NAPOLITAINS QUI DORMENT SOUS NOS PIEDS 2º PARTIE


PREGHIERA D’ARTISTA:


Un volto. Scrutarlo, coservarne la memoria. Salvarlo dalle immagini che si affolleranno, dal tempo e il vuoto che lo porteranno via. Prima che ti dimentichi. Solo l’attenzione amorosa salva dal flusso delle assenze e dell’informe. E solo la capacità artistica dona l’eternità possible.
Daniel Ogier, con il suo “Oratorio per i napoletani che dormono sotto i nostri piedi” fa un omaggio solenne alla civlità partenopea: compie un’operazione di ricarnificazione. Ricarnifica i teschi del cimiterio delle Fontanelle, ricarnifica gli attimi privati ed anonimi dei destini mentre si compiono, ricarnifica l’arte, ricarnifica la Storia.



Deve averla percepita tumultuosa e violenta la storia di Napoli, deve aver avvertito il senso della folla, così lontana dalle solitudini parigine, stupendosi per il fatto che da questo amalgama umano pure si stagliano ad una personalità vigorose e prospere, dall’unicità fortemente contrastante coi caratteri taciti dei francesi. E, soprattutto deve essersi lasciato affascinare dalla confidenza festosa dei napoletani con quella morte che a Parigi resta un vuoto tabù. Cultura è anche elaborazione dei contrati, possibilità di raffronto di dati opposti; lontananza e antitesi.
Per questa capacità rinfrancante che ha il popolo partenopeo di contenere la morte nella vita, il ventre della città si gonfia, da sempre, di accumuli di vite passate, le accoglie e le contiene e con forza, senza alcun pudore, ne fa culto domestico, ente liturgico, immaneza.



Di questa familiarità con le anime sconosciute, con le vite andate, il visitatore straniero non si fa ragione; quando gli occhi di Ogier si sono posati sulle “capuzzelle” senza nome del cimitero delle Fontanelle hanno dovuto ricordare una storia e raccontarla, una storia che ricostruisse un percorso, che desse un motivo di unione fra quel moto di timore e quella necessità di accoglienza, di memoria, di appartenenza.
Ogier ha reso un volto ai teschi, un modo alle morti e con la gravità e l’asprezza dei suoi colori ad olio ci ha restituito il senso di sconcerto che si può provare finendo una vita, o semplicemente immaginando...



Il titolo, “Oratorio” fa pensare a un luogo dell’innocenza, della speranza e del misterio. Pensi che non sei solo al mondo, ma che c’è sempre un Dio-autore di tali e tanti strani destini a cui chiedere aiuto. Forse non pensi che ci sia un perché alle cose, ma che accadono e basta, e l’arte è uno dei rari mezzi per inseguirle, immobilizzarle e guardarle negli occhi.
La creazione, disperata e pacata, potente come una preghiera.


                                                         TJUNA NOTARBARTOLO 
                                                        Directrice du Prix Elsa Morante.




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