PREGHIERA
D’ARTISTA:
Un volto.
Scrutarlo, coservarne la memoria. Salvarlo dalle immagini che si affolleranno,
dal tempo e il vuoto che lo porteranno via. Prima che ti dimentichi. Solo
l’attenzione amorosa salva dal flusso delle assenze e dell’informe. E solo la
capacità artistica dona l’eternità possible.
Daniel Ogier, con
il suo “Oratorio per i napoletani che dormono sotto i nostri piedi” fa un
omaggio solenne alla civlità partenopea: compie un’operazione di
ricarnificazione. Ricarnifica i teschi del cimiterio delle Fontanelle,
ricarnifica gli attimi privati ed anonimi dei destini mentre si compiono,
ricarnifica l’arte, ricarnifica la
Storia.
Deve averla
percepita tumultuosa e violenta la storia di Napoli, deve aver avvertito il
senso della folla, così lontana dalle solitudini parigine, stupendosi per il
fatto che da questo amalgama umano pure si stagliano ad una personalità
vigorose e prospere, dall’unicità fortemente contrastante coi caratteri taciti
dei francesi. E, soprattutto deve essersi lasciato affascinare dalla confidenza
festosa dei napoletani con quella morte che a Parigi resta un vuoto tabù.
Cultura è anche elaborazione dei contrati, possibilità di raffronto di dati
opposti; lontananza e antitesi.
Per questa capacità
rinfrancante che ha il popolo partenopeo di contenere la morte nella vita, il
ventre della città si gonfia, da sempre, di accumuli di vite passate, le
accoglie e le contiene e con forza, senza alcun pudore, ne fa culto domestico,
ente liturgico, immaneza.
Di questa familiarità
con le anime sconosciute, con le vite andate, il visitatore straniero non si fa
ragione; quando gli occhi di Ogier si sono posati sulle “capuzzelle” senza nome
del cimitero delle Fontanelle hanno dovuto ricordare una storia e raccontarla,
una storia che ricostruisse un percorso, che desse un motivo di unione fra quel
moto di timore e quella necessità di accoglienza, di memoria, di appartenenza.
Ogier ha reso un
volto ai teschi, un modo alle morti e con la gravità e l’asprezza dei suoi
colori ad olio ci ha restituito il senso di sconcerto che si può provare
finendo una vita, o semplicemente immaginando...
Il titolo,
“Oratorio” fa pensare a un luogo dell’innocenza, della speranza e del misterio.
Pensi che non sei solo al mondo, ma che c’è sempre un Dio-autore di tali e
tanti strani destini a cui chiedere aiuto. Forse non pensi che ci sia un perché
alle cose, ma che accadono e basta, e l’arte è uno dei rari mezzi per
inseguirle, immobilizzarle e guardarle negli occhi.
La creazione, disperata
e pacata, potente come una preghiera.
TJUNA NOTARBARTOLO
Directrice du Prix Elsa Morante.
Directrice du Prix Elsa Morante.
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